Perché tutti stanno cercando Gianni Berengo Gardin: il fotografo che ha svelato l’Italia nascosta

L’Italia dice addio a un gigante della fotografia documentaristica. Gianni Berengo Gardin, il maestro del reportage che ha immortalato l’anima dell’Italia per settant’anni, si è spento il 6 agosto 2025 a Genova all’età di 94 anni. Con la sua scomparsa, il Paese perde non solo un fotografo leggendario, ma anche un testimone insostituibile della propria identità culturale e sociale.

La notizia della morte di Berengo Gardin ha scatenato un’ondata di commozione che travalica i confini della cultura per toccare il cuore dell’Italia intera. Nelle ultime ore il nome del fotografo ligure è schizzato in vetta alle ricerche Google con oltre 5000 query e una crescita del 1000%, segno di quanto profondamente le sue immagini abbiano segnato la memoria collettiva del nostro Paese.

Gianni Berengo Gardin fotografo: l’artigiano che ha raccontato l’Italia

Nato a Santa Margherita Ligure il 10 ottobre 1930 e cresciuto tra i canali di Venezia, Gianni Berengo Gardin non si è mai considerato un artista nel senso tradizionale. “Sono un artigiano dell’immagine”, ripeteva con quella modestia che nascondeva una profonda consapevolezza del proprio ruolo sociale. Questa filosofia ha guidato tutta la sua carriera, trasformando la fotografia in uno strumento di testimonianza civile.

Autodidatta fin dai primi anni Cinquanta, Berengo Gardin ha sviluppato uno stile personalissimo influenzato dal grande Henri Cartier-Bresson ma declinato in una chiave tutta italiana. Il trasferimento a Milano nel 1965 segna l’inizio della sua carriera più intensa, quando le sue immagini iniziano a comparire sulle pagine de “Il Mondo”, “L’Espresso”, “Time” e “Le Figaro”.

Ma il fotografo documentarista non era interessato al glamour del fotogiornalismo internazionale. La sua lente si posava piuttosto sugli ultimi, sui dimenticati, sui luoghi dell’emarginazione sociale. I suoi reportage dagli ospedali psichiatrici italiani, realizzati nel periodo cruciale della legge Basaglia, rappresentano alcune delle testimonianze più potenti della fotografia documentaria europea.

Venezia e Milano attraverso l’obiettivo di Berengo Gardin

Se dovessimo scegliere un’immagine simbolo del lavoro di Gianni Berengo Gardin, probabilmente cadrebbe su “Vaporetto, Venezia, 1960” – quello scatto perfetto che cattura l’essenza della città lagunare con una semplicità disarmante. Venezia non era per lui solo un soggetto fotografico, ma una questione di cuore e di battaglia civile che lo ha accompagnato fino agli ultimi anni.

Negli ultimi decenni della sua carriera, il maestro della fotografia italiana si era trasformato in un paladino della lotta contro le grandi navi da crociera che solcavano il Bacino di San Marco. Le sue immagini-denuncia, che mostravano i colossi del mare in drammatico contrasto con la fragilità architettonica veneziana, sono diventate simbolo di una battaglia ambientalista che ha trovato eco mondiale.

L’obiettivo di Berengo Gardin ha saputo raccontare con uguale maestria anche la Milano operosa e industriale degli anni del boom economico. Le sue fotografie del mondo del lavoro, delle trasformazioni urbanistiche e dei cambiamenti sociali che hanno accompagnato la modernizzazione italiana rappresentano una cronaca visiva insostituibile di quell’epoca di profondi mutamenti.

Il bianco e nero di Berengo Gardin: tecnica e filosofia

Nemico dichiarato delle manipolazioni digitali, Gianni Berengo Gardin ha continuato fino alla fine a stampare le sue fotografie con tecniche tradizionali, convinto che la verità dell’immagine passasse anche attraverso l’onestà del processo tecnico. Il suo bianco e nero, caratterizzato da contrasti netti e da una composizione sempre impeccabile, è diventato un marchio di fabbrica riconoscibile in tutto il mondo.

La sua filosofia fotografica privilegiava sempre l’autenticità rispetto all’effetto. In un’epoca dominata dalle immagini usa-e-getta dei social media, la fotografia di Berengo Gardin rappresentava un ancoraggio alla sostanza, alla profondità, alla capacità di guardare oltre la superficie delle cose per cogliere l’essenza umana dei suoi soggetti.

L’eredità del grande maestro della fotografia italiana

I numeri della carriera di Gianni Berengo Gardin sono straordinari: oltre 260 libri fotografici, circa 360 mostre personali tra Italia ed estero, collaborazioni con i più prestigiosi musei e gallerie internazionali. Ma dietro queste cifre impressionanti c’è qualcosa di più prezioso: la capacità unica di essere stato testimone credibile e sensibile di settant’anni di storia italiana.

Le sue immagini più celebri, che in queste ore stanno circolando sui media, ci restituiscono un’Italia che non c’è più ma che continua a vivere nella memoria collettiva. Sono frammenti di una narrazione nazionale che il fotografo genovese ha contribuito a scrivere con la sensibilità di chi sa vedere l’universale nel particolare, l’eterno nel quotidiano.

L’esplosione di ricerche e l’emozione che accompagna la notizia della morte di Berengo Gardin dimostrano quanto profondamente il suo lavoro abbia toccato l’anima degli italiani. Dal Ministero della Cultura alle redazioni dei principali quotidiani, passando per i social media dove rimbalzano i suoi scatti più iconici, l’omaggio è unanime: se n’è andato l’ultimo dei grandi narratori per immagini.

Con la scomparsa di Gianni Berengo Gardin, l’Italia perde un artigiano dell’immagine che ha saputo trasformare la fotografia in uno strumento di conoscenza e di crescita civile. La sua lezione di autenticità e il suo sguardo umanissimo sui dimenticati e sugli emarginati rappresentano un’eredità preziosa che oggi, più che mai, appare necessaria per comprendere e raccontare la complessità del nostro tempo.

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Il bianco e nero autentico
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